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Quello tra ansia e balbuzie è un legame tanto complesso quanto frainteso. Ciò accade perché in generale, esiste una grossa confusione tra le cause e gli effetti della balbuzie. Facciamo un po’ di chiarezza.
Chiariamoci subito.
È la difficoltà di comunicazione di chi balbetta che causa ansia, non il contrario.
Come accade in tutte le situazioni cariche emotivamente, quando comunichiamo abbiamo bisogno di grandi risorse di controllo.
È facile intuire che per chi balbetta, già impegnato a monitorare faticosamente il proprio discorso, il controllo richiesto sia maggiore.
In più, quando il giudizio altrui ha particolare rilievo, chi balbetta sperimenta spesso sensazioni facilmente sovrapponibili con l’ansia. Ad esempio, tende ad evitare situazioni che prevedono di parlare in pubblico.
Le ricerche confermano che questa la maggiore vulnerabilità di chi balbetta è in realtà una conseguenza della balbuzie, non la sua causa.
Nell’immaginario comune, la balbuzie è causata dall’ansia (o dallo stress, o dall’emotività). Chi balbetta si è sentito dire almeno una volta nella vita: «Balbetti perché sei ansioso».
Il realtà è la balbuzie stessa che causa ansia nel parlare.
Chi balbetta conosce già la situazione, o le parole, su cui si bloccherà prima ancora di pronunciarle. Questo fa sì che sperimenti in anticipo l’ansia, lo stress e l’imbarazzo. Tali vissuti possono aumentare la frequenza e l’intensità della balbuzie in un circolo vizioso difficile da disinnescare.
Ecco perché le difficoltà di comunicazione associate alla balbuzie sono fonte di stress anche in situazioni quotidiane e apparentemente tranquille. Ad esempio, se chi balbetta sa in anticipo e con certezza che sulla c si bloccherà, la sola idea di dover ordinare un caffè al bar alimenterà imbarazzo e frustrazione.
Poiché le situazioni di ansia, agitazione, nervosismo influenzano in modo negativo la balbuzie, si è ipotizzato in passato che tra i due fenomeni potesse esistere una relazione causa-effetto del tipo l’ansia causa la balbuzie.
Negli anni, molte teorie hanno tentato di spiegare la balbuzie come conseguenza dei tratti di personalità o componenti dell’umore.
Tuttavia, nessuno dei confronti tra lo stato emotivo dei balbuzienti e quello dei normofluenti ha dimostrato una differenza significativa.
A tutti capita di provare ansia prima di dover affrontare un discorso in pubblico, un esame orale, un’interrogazione, una conversazione importante.
Per capire cosa accade bisogna tenere presente che:
Questi meccanismi spiegano perché quando si hanno difficoltà oggettive nella comunicazione (come nel caso di chi balbetta) l’ansia può essere esasperata.
Il beneficio non riguarda specificatamente la balbuzie. Non si può pensare di trattare efficacemente la balbuzie lavorando esclusivamente sull’ansia.
Senza dubbio, se si impara a gestire l’ansia, è possibile osservare miglioramenti nell’eloquio.
L’americano Lee Lovett, fondatore della Speach Anxiety Anonymous, ha spiegato la relazione tra ansia e balbuzie attraverso un’analogia con l’epilessia.
È più probabile che il balbuziente balbetti quando è in ansia, così come è più probabile che l’epilettico abbia una crisi quando è stanco.
Così come la fatica abbassa la soglia epilettica, allo stesso modo l’ansia può ridurre la fluenza dell’eloquio. Ovviamente, il peggioramento della balbuzie dovuto a situazioni ansiose si riduce se la situazione si conclude o se si riesce a gestirla.
Ciò non significa che l’ansia causi la balbuzie, così come la stanchezza non causa l’epilessia.
Una migliore gestione dell’ansia fornisce supporto in momenti di tensione tanto per chi balbetta, quanto per tutti gli altri.
Tuttavia, non è riducendo l’ansia situazionale che si risolve la balbuzie. Anche perché è irrealistico pensare di poter vivere sempre in condizioni prive di tensioni, nervosismo, o emozioni.
È invece importante lavorare per migliorare il controllo del linguaggio anche in condizioni di particolare stress.
Intervenire sull’ansia può certamente essere utile per evitare che sintomi secondari (come evitamento e inadeguatezza) danneggino la percezione di sé come individui competenti sul piano comunicativo.
Fonti
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