“Sono triste e non mi va di fare niente”: che succede? Bambini e adolescenti possono manifestare tristezza, una reazione “sana” e utile, contrariamente a quanto si è portati a pensare. 

Cosa fare e come gestirla, a casa e a scuola e quando è necessario rivolgersi a un esperto?

Cos’è la tristezza?

La tristezza è spesso considerata come un’emozione “negativa” e per questo da non provare. In realtà, la tristezza è una reazione sana e adattiva di fronte a una perdita, a una delusione o ad altre esperienze negative.

Come altre emozioni, la tristezza è utile e necessaria poiché ci informa che abbiamo perso uno scopo, un obiettivo che ci eravamo prefissati. Molte persone ritengono intollerabile sostare nella tristezza tuttavia tale emozione permette l’adattamento a seguito di una perdita.

Tristezza e depressione

Come le altre emozioni, la tristezza si muove lungo un continum sano-patologico. Riprendendo la metafora del termometro, la tristezza diventa disfunzionale quando è a temperature troppo alte: in questo caso, si parla di depressione.

La depressione è un disturbo emotivo caratterizzato da intensi sentimenti di disperazione, colpa, senso di impotenza, perdita di capacità di provare piacere e interesse nelle cose. Inoltre, per ipotizzare una condizione di depressione, non basta un gradiente di intensità ma si definisce anche rispetto a indicatore temporale: per diagnosticare un disturbo depressivo è necessario che i sintomi precedentemente elencati siano presenti da almeno due settimane.

I sintomi

La tristezza, come le altre emozioni, ha dei correlati neurovegetativi tipici: pianto, apatia (perdita di interesse per le attività), anedonia (perdita di piacere nello svolgere le attività), perdita del desiderio, alterazione della sensazione di fame (può aumentare o diminuire), alterazioni del sonno, pensiero lento e ripetitivo, scarsa energia e affaticamento.

Ricerche neurologiche mostrano come vi sia una correlazione tra depressione e mimetizzazione: in natura vi sono diversi esempi della funzionalità dei correlati fisiologici della tristezza.

Un esempio: quando una gazzella viene accerchiata da più predatori può fingersi morta. Il sistema interno della gazzella si “disattiva”, la respirazione rallenta la respirazione e il battito cardiaco si abbassa, il predatore la percepisce come morta e si allontana. Questo indica che le sensazioni correlate a uno stato depressivo, che insorge quando ci sentiamo senza via di uscita, sono reazioni fisiologiche e utili a livello evolutivo e, pertanto, non ci dobbiamo giudicare negativamente per la loro presenza.

Una connessione di pensieri

Come per le altre emozioni, la tristezza è determinata dai pensieri che facciamo. Lo stato depressivo è associato spesso a pensieri negativi e pessimisti su di sé, sul mondo e sul futuro ed è caratterizzato dall’idea di perdita di speranza. Ad esempio, pensiamo a un bambino che prende un brutto voto in una verifica: il pensiero «Mi va sempre tutto storto, non so fare nulla» lo porterà a consolidare un umore nero in quanto è un pensiero autosvalutativo.

Un pensiero più funzionale in questa situazione potrebbe essere: «Ogni tanto qualcosa mi va male ma ci sono molte cose che mi vanno bene». Questo porterebbe non a un’emozione di tristezza ma a una temperatura adeguata.

Tristezza e lutto

Essendo la tristezza un’emozione che indica la perdita, il lutto di una persona cara è sicuramente una situazione che evoca forti emozioni di tristezza.

Ma, come detto precedentemente, questo risulta problematico se la tristezza perdura per un tempo superiore ai 6/12 mesi. In questo caso si parla di un’elaborazione del lutto problematica che richiede attenzione.

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Come si manifesta la tristezza nel bambino e come nell’adolescente?

I segnali nel bambino

Rispetto alle altre emozioni, la tristezza molto intensa è spesso difficile da identificare in bambini. Questa può essere reattiva a un evento chiaro ma talvolta non è così semplice identificarlo e inoltre si può presentare con manifestazioni che potrebbero non far pensare immediatamente a emozioni di tristezza, quali irritabilità, atteggiamento oppositivo o alterazioni del sonno veglia e dell’alimentazione.

In particolare le manifestazioni di tristezza nel bambino potrebbero essere:

  • Insoddisfazione per attività prima considerate piacevoli;
  • Poco soddisfazione dalle attività ludiche;
  • Poca propensione all’interazione con i pari;
  • Alterazioni del sonno: insonnia o ipersonnia;
  • Alterazione della sensazione di fame: mancanza di appetito o iperfagia;
  • Difficoltà di concentrazione;
  • Irritabilità;
  • Lamentele e capricci

Le manifestazioni nell’adolescente

L’adolescenza è una fase di vita critica essendo una fase di transizione tra la fanciullezza e l’età adulta. I cambiamenti fisici, relazionali, ormonali possono portare a una maggior variabilità emotiva e una difficoltà maggiore nel controllarla.

Tendenzialmente l’adolescente ha una competenza emotiva maggiore, quindi una capacità maggiore di riconoscere l’emozione provata e verbalizzarla. Tuttavia la fase di vita che determina il cambiamento nel rapporto con il genitore, che diventa una base sicura in una fase esplorativa, rende più difficile il dialogo con l’adulto e quindi di conseguenza il confronto su emozioni di tristezza.

Le manifestazioni nell’adolescente possono ricalcare in parte quelle presenti nel bambino ma, di solito, emerge maggiormente la sensazione di apatia e anedonia. In una fase di vita dove il gruppo dei pari è fondamentale, la depressione può risultare evidente proprio in ambito relazionale portando il ragazzo a ridurre i contatti sociali.

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Cosa possono fare i genitori e gli insegnanti? 

L’impegno dei genitori

I genitori di bambini e adolescenti tristi possono sperimentare loro stessi emozioni di tristezza e sensi di colpa. Questi potrebbero chiedersi se hanno loro la responsabilità dello stato emotivo del figlio o in alcune situazioni, quali separazioni o altri eventi di vita, attribuirsi completamente la colpa.

Ricordiamo che non esiste un “libretto di istruzioni”: purtroppo nella vita non sempre le cose vanno come vorrebbero e questo non è colpa del genitore. Il principio da seguire è fare il meglio che si può in una certa situazione, non il meglio in assoluto.

Quindi il genitore può:

  • porre attenzione a quello che prova in quel momento nel vedere il figlio sofferente,
  • accogliere la sofferenza del figlio e non negargliela: l’emozione di tristezza non è piacevole ma è assolutamente normale, anzi è consigliabile spiegargli che non c’è nulla di male a sentirsi tristi, capita a tutti di sentirsi un po’ giù ma poi anche la tristezza passa;
  • aprire un dialogo su tali emozioni. Se ci si accorge che il proprio figlio non riesce ad aprirsi con il genitore, si può creare la condizione affinché si confidi con una persona estranea che può ascoltarlo e sostenerlo;
  • se si riconoscono dei pensieri negativi (autosvalutazione, perdita di speranza) favorire in lui un dialogo interno più funzionale e positivo.

Per quanto riguarda invece i bambini, i genitori possono stimolarli nel gioco o in attività piacevoli che potrebbe essere di grande aiuto per superare sentimenti di tristezza. Quando il bambino è triste spesso trascura contatti sociali e molte cose piacevoli in cui era solito impegnarsi. È bene evitare che questo accada, cercando di sollecitare il bambino, senza essere pressanti, per farsi coinvolgere in attività per lui gradevoli e stimolandolo a frequentare compagni con cui sta più volentieri.

L’attenzione dell’insegnante

L’insegnante ha un ruolo privilegiato di osservatore di bambini e adolescenti in situazioni che il genitore non può cogliere. Quindi è molto importante una comunicazione scuola-famiglia dove il genitore sia disponibile all’ascolto e l’insegnante a un’osservazione oggettiva.

L’osservazione dell’insegnante dovrebbe focalizzarsi non solo sull’aspetto prestazionale ma, per quanto possibile, anche su quello relazionale.

Se si osservano sentimenti forti di tristezza nel bambino l’insegnate potrebbe monitorarlo registrando su un diario i momenti e i comportamenti del bambino in questa direzione e comunicarli alla famiglia.

Spesso i ragazzi/bambini che provano frequentemente tristezza hanno pensieri autosvalutativi su di sé: pertanto, è auspicabile puntare sul rinforzo positivo.

Quando serve l’esperto?

Il ruolo dell’esperto appare importante in quelle situazioni in cui il bambino fatica ad aprirsi con persone a lui care o quando i sentimenti di tristezza appaiono pervasivi e persistenti nel tempo.

L’obiettivo del professionista sarà quello di aiutare il bambino o il ragazzo a riconoscere e gestire l’emozione e quindi modificare la risposta alla tristezza.

Bibliografia:

Di Pietro Mario, L’ABC delle mie emozioni (4-7 anni). Programma di alfabetizzazione socio-affettiva secondo il metodo REBT, 2014, Erickson Editore

Foto di Aa Dil da Pexels

Laura Ranzini

Laura Ranzini

Psicologa e Psicoterapeuta

Laureata in Psicologia Sperimentale e Neuroscienze Cognitive presso l’Università degli Studi di Pavia e specializzata in Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale alla scuola di specializzazione Studi Cognitivi di Milano. È consulente sessuale (titolo A.I.S.P.) ha conseguito il Primary Certificate in Terapia cognitivo comportamentale dei Disturbi dell’alimentazione (CBT-E).

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