BALBUZIE
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La balbuzie è un fenomeno che interessa una percentuale tra l’1,5% e il 3% della popolazione mondiale. Solo in Italia, si parla di circa 1 milione di persone.
Secondo l’ICD-10 (International Classification of Diseases), la classificazione internazionale delle malattie stilata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, la balbuzie è
“un disordine del ritmo della parola, nel quale il paziente sa con precisione ciò che vorrebbe dire, ma nello stesso tempo non è in grado di dirlo a causa di arresti, ripetizioni e/o prolungamenti di un suono che hanno carattere di involontarietà”.
Nel DSM-5 (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders), il più utilizzato sistema di classificazione dei disturbi mentali, la balbuzie è considerata un disturbo della comunicazione che si manifesta come una
“alterazione della normale fluenza e della cadenza dell’eloquio, inappropriata per età e per abilità linguistiche, che persiste nel tempo ed è caratterizzata dal frequente e marcato verificarsi di uno (o più) dei seguenti elementi: ripetizioni di suoni e sillabe, prolungamenti dei suoni, interruzione delle parole, blocchi udibili o silenti, circonlocuzioni, parole pronunciate con eccessiva tensione, ripetizione di intere parole monosillabiche”.
Queste definizioni, è evidente, si basano unicamente sulla descrizione dei sintomi manifesti: ciò che è possibile osservare e udire.
Ma, prendendo in prestito un’espressione di Sheehan (1970), questi aspetti rappresentano solo la punta visibile di un iceberg. La maggior parte rimane nascosta sotto il livello del mare.
Infatti, se il linguaggio è, come è evidente, una funzione cognitiva straordinariamente complessa, risultato di numerosi meccanismi in interazione tra loro, allora anche la balbuzie deve essere considerata un fenomeno cognitivo altrettanto complesso.
Nonostante le sue cause non siano ancora chiare, i più recenti studi e modelli neurolinguistici ci forniscono alcuni indizi.
Secondo il Muscarà Rehabilitation Method for Stuttering (MRM-S), il cui background teorico fa riferimento al modello DIVA (Directions Into Velocities of Articulators) (Guenther, 2006), la balbuzie potrebbe dipendere da una eccessiva attività del sistema di controllo e monitoraggio del linguaggio.
Il risultato è allora un blocco fisico che viene percepito a livello addominale, toracico o diaframmatico.
I sintomi più o meno manifesti sono, di fatto, la risposta soggettiva a questo blocco. Le manifestazioni più comuni e note sono ripetizioni, prolungamenti, blocchi, spasmi e tic che possono interessare diverse parti del corpo.
Alcuni potrebbero ricorrere a manifestazioni più sottili per aggirare i blocchi, come sinonimi, giri di parole e intercalari.
Nel caso in cui la persona che balbetta rinunci a parlare, la balbuzie assume la forma di un silenzio.
La balbuzie si presenta in modi e intensità diverse da persona a persona (variabilità interindividuale), ma può assumere forme diverse anche nella stessa persona (variabilità intraindividuale). Essa non è, infatti, un fenomeno statico, ma dinamico: potrebbe rimanere silente o attenuarsi per un certo periodo di tempo, per poi riapparire o intensificarsi all’improvviso.
Se prendiamo in considerazione anche aspetti di natura psico-emotiva, allora la balbuzie è anche ciò che si verifica prima e dopo il blocco.
La persona che balbetta prevede il blocco prima che si verifichi, cioè sa già che non riuscirà a parlare. Questo causa frequentemente ansia anticipatoria (che in casi estremi può portare al ritiro sociale), che a sua volta può intensificare la balbuzie.
L’ansia conduce a condotte di evitamento quando la persona che balbetta, per il timore di bloccarsi, comincia a evitare situazioni ansiogene che implicano l’interazione con le altre persone (ad esempio parlare al telefono o ordinare qualcosa).
A differenza di quanto si ritiene nel senso comune, l’ansia è uno degli effetti della balbuzie, non la causa.
La balbuzie è anche ciò che viene dopo il blocco: senso di sfiducia, frustrazione, affaticamento mentale e fisico, vergogna e perdita di autostima sono solo alcune delle sue conseguenze.
Risulta evidente, quindi, come il trattamento di un fenomeno così complesso e sfaccettato richieda un approccio multifattoriale, che il MRM-S si propone di offrire proprio per intervenire sulla persona nella complessità del fenomeno.
Foto: by Angello Lopez on Unsplash