Che cos’ha in testa una persona che balbetta? No, in questo caso non parliamo dei suoi pensieri o delle sue emozioni, ma proprio di come è fatto e come funziona il suo cervello.
Esistono delle differenze anatomiche o funzionali tra il cervello di una persona che balbetta e di un normofluente?
Prima di rispondere a questa domanda, meglio tenere alla larga interpretazioni semplicistiche: il fatto che esistano delle differenze a livello neurofisiologico non deve farci cadere nello stereotipo secondo cui le persone che balbettano sono meno dotate su un piano intellettivo-cognitivo.
La scienza si occupa da tempo di rintracciare le differenze anatomo-funzionali tra il cervello di una persona che balbetta e quello di un normofluente, perché questi dati potrebbero fornire informazioni rilevanti anche per l’individuazione delle cause della balbuzie (eziologia), dei fattori di rischio e delle possibili cure.
In questo articolo proviamo a fare il punto sullo stato dell’arte della ricerca in ambito neurofisiologico sulla balbuzie, in particolare sulle differenze strutturali (anatomiche).
Differenze strutturali nella materia grigia
A livello anatomico sono state individuate differenze minime a carico della materia grigia.
In particolare:
- Anomalie a carico delle regioni frontali inferiori di sinistra (giro frontale inferiore, opercolo rolandico, corteccia premotoria ventrale e corteccia motoria primaria), ovvero quelle aree deputate alla regolazione e al controllo motorio della produzione dell’eloquio.
- Riduzione dell’asimmetria fisiologica nel planum temporale. Il planum temporale nell’emisfero sinistro è fondamentale per l’elaborazione degli stimoli uditivi (area di Wernicke) e generalmente è più grande rispetto alla corrispettiva area dell’emisfero destro (Foundas et al., 2001, 2004). Studi più recenti hanno però portato a pensare che quest’alterazione si verifichi solo in un sottogruppo di persone che balbettano (Hampton e Weber-Fox, 2008)
- Ipertrofia delle aree dell’emisfero destro omologhe di quelle che nell’emisfero di sinistra sono preposte alla regolazione dell’eloquio.
Bisogna notare che una delle caratteristiche della materia grigia è che con l’esperienza cambia: aree specifiche se sovrautilizzate per determinate attività tendono a crescere e viceversa, aree sottoutilizzate a ridursi. Per esempio, un pianista ha le aree della rappresentazione corticale della motricità delle mani ipersviluppata, rispetto a una persona che non suona (Herholz & Zatorre, 2012; Lappe et al., 2008): i recettori tattili situati sui polpastrelli delle sue dita ricevono moltissime afferenze sensoriali che si proiettano alla corteccia. Più afferenze sensoriali arrivano, più le aree deputate all’elaborazione di tale stimolo si espandono e si specializzano (senza una variazione nel volume), a discapito delle aree limitrofe.
È possibile dunque che anomalie strutturali come l’ipertrofia di alcune aree riflettano i tentativi di compensare la balbuzie, con un’iperattivazione di aree alternative, non ne siano esse la causa ( Civier et al., 2015).
Differenze strutturali nella materia bianca
Più significative (perché confermate anche nei bambini) sembrano invece le rilevazioni sulla densità della materia bianca, che indicherebbero un problema di interconnessione tra diverse aree del cervello.
Alcuni studi (Janke 2004, Watkins et a 2008, Sommer et al 2002, Cieslak et al, 2015 ) hanno rilevato una ridotta densità della sostanza bianca del fascicolo longitudinale superiore nell’emisfero sinistro delle persone che balbettano, rispetto a quelle che non balbettano.
Altre anomalie nella materia bianca sono state individuate sempre nell’emisfero sinistro a carico del fascicolo arcuato, del corpo calloso e nelle aree di connessione talamo-gangliali.
Il fascicolo longitudinale superiore è una zona di materia bianca che collega le strutture cerebrali deputate alla pianificazione del linguaggio con le aree uditive coinvolte nel feedback sensoriale del suono prodotto, attraverso la corteccia motoria, responsabile dell’esecuzione motoria dell’eloquio.
Anomalie di connessione tra queste aree sono coerenti con il modello Directions into Velocities of Articulators – DIVA (Guenther, 2006). Secondo questo modello la balbuzie è legata a una difficoltà ad accedere alle mappe motorie, ovvero quegli schemi con cui abbiamo mappato i movimenti necessari a produrre un determinato suono.
In pratica, quando decido di pronunciare una parola, nelle aree premotorie vado a recuperare lo schema corrispondente e lo eseguo. Inizialmente per il bambino è molto complesso pianificare i movimenti corretti, per cui è necessario apportare delle correzioni sulla base delle informazioni che arrivano dall’udito e dal corpo. In questo modo le mappe si consolidano sempre più, finché il sistema di feedback uditivo e corporeo diventa meno indispensabile. Nelle persone che balbettano qualcosa in questo meccanismo si inceppa. Integrando questo modello con i dati relativi alle anomalie della materia bianca, possiamo ipotizzare che il meccanismo si inceppi a causa della carenza di connessioni tra aree premotorie, uditive e motorie della produzione dell’eloquio.
Questi risultati sono anche coerenti con alcuni studi di genetica che hanno individuato tra le possibili alterazioni cromosomiche responsabili della balbuzie, quella del cromosoma 12 (Kang et al, 2010), correlato ai processi di sviluppo della mielina (contenuta nella materia bianca) l’isolante che costituisce la sostanza bianca
La presenza di queste anomalie, che hanno un impatto sull’integrazione delle diverse aree preposte alla produzione dell’eloquio potrebbe anche rendere il sistema più sensibile alle interferenze, per esempio ad interferenze di natura emotiva o cognitiva. Ecco perché, per esempio, in situazioni ad elevata valenza emotiva il sistema è maggiormente perturbato e di conseguenza le persone che balbettano possono incontrare maggiori difficoltà nella produzione linguistica.
Bibliografia
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