La propensione a giocare è innata ma ha bisogno delle giuste condizioni per fiorire, altrimenti può scomparire.

Perché giocare è importante per un bambino? Abbiamo chiesto a Irene Chiesa, psicologa dell’età evolutiva, di spiegarci perché un’attività così apparentemente spontanea come il gioco, sia in realtà cruciale per la crescita di un bambino e come noi adulti possiamo favorirla.

Perché giocare?

Nel giocare il bambino inizia ad intraprendere l’avventura per conoscere se stesso e il mondo.

Fin dai primi momenti di vita, il gioco è il modo con cui il bambino si comunica e si rapporta con gli altri.

Il gioco e lo sviluppo del linguaggio verbale sono strettamente legati. Fin dai primi mesi di vita, il gioco è il modo con cui il bambino si comunica all’interno delle prime relazioni di cura. Un esempio semplice sono i primi vocalizzi a cui la mamma risponde in modo giocoso.

Nello scambio fornito dal gioco, sperimentare ripetutamente risposte familiari può creare e favorire la possibilità di sentirsi sicuri. Questa è un’esperienza quotidiana fatta di gesti semplici e intuitivi, come quando un bambino nei primi mesi di vita getta un gioco per terra e aspetta che gli venga restituito.

Il gioco è scoperta di sé e del mondo ed è all’interno delle prime relazioni di cura che prende forma questa consapevolezza. Quando un bambino interagisce con adulti significativi, guardando, ascoltando e rispondendo, inizia ad imparare.

Il gioco per i bambini può avere un ruolo importante nell’affrontare le nuove sollecitazioni e scoperte portate da ogni fase dello sviluppo. Osservando i bambini a diverse età, è possibile riconoscere che questo è un processo che dura per tutta la crescita. Un esempio è il giocare al gioco del cucù dove il bambino fa esperienza che l’oggetto o la persona che va via poi torna.

Anche quando la quotidianità è connotata da elementi di incertezza e cambiamento, il gioco può sostenere lo sviluppo del bambino perché permette un contesto sicuro e contenuto, dove si apprendono e si rafforzano competenze per gestire situazioni nuove.

Il gioco può essere di beneficio non solo per i bambini ma un’attività piacevole per tutti!

Cos’è il gioco? 

Cosa rende qualcosa gioco o al contrario non gioco?

Il gioco non ha confini limitati ma può avere diverse forme e caratteristiche. Può essere solitario o fatto in compagnia, di fantasia, più o meno strutturato e organizzato, con o senza regole, verbale o non verbale, con oggetti, di ruolo, etc…

Si possono distinguere due modalità di gioco: il gioco strutturato e il gioco spontaneo.

Quello di cui ci interessa parlare è il gioco spontaneo perché è caratterizzato da una certa flessibilità. Ad esempio, dà la possibilità di combinare gli oggetti in una nuova forma, cambiare ruoli, oppure usare oggetti per rappresentare altre cose.

Noi adulti spesso sottovalutiamo il fatto che il gioco può essere considerato a tutti gli effetti il lavoro del bambino.

Infatti, fin dai primi giorni di vita, attraverso il gioco il bambino sviluppa la sua capacità di immaginazione e creatività ed elabora alcuni aspetti importanti della sua esperienza quotidiana.

Perché giocare insieme al bambino

Il bambino gioca, comunica con tutto di sé, si muove nella realtà e quanto più fa esperienza di adulti affidabili che sono attenti alle sue comunicazioni e ai suoi bisogni, tanto più forma e sviluppa il suo senso di identità.

Questo senso di identità favorisce la creazione di legami e la capacità di apprendere.

Il gioco può essere un’area di scambio tra ciò che appartiene alla realtà esterna del bambino – persone,luoghi ed esperienze di vita – ed il suo mondo interno – legami, pensieri ed emozioni.

Il bambino impara ad essere “giocoso” osservando tutto quello che succede intorno a lui e imitando quello che succede nella sua quotidianità. Poter giocare e giocare insieme aiuta il bambino a crescere sano e sicuro.  È un crescita per tutti: giocando con i bambini, gli adulti scoprono la piacevolezza dello stare insieme.

Per questo motivo è molto importante ritagliare del tempo per il gioco.

La ricerca sulle prime fasi della vita di un bambino mostra come il giocare insieme, favorendo il gioco auto-diretto dal bambino o gioco guidato dal bambino, sia fondamentale per la crescita e lo sviluppo.

Lasciando spazio all’iniziativa del bambino, gli adulti possono incoraggiare l’autonomia e l’esplorazione e aumentare  la sua fiducia, per esempio fornendo un piccolo aiuto quando non è ancora in grado di portare a termine un compito da solo, così che possa fare l’esperienza di  conquista.

Con bambini piccoli sono gli adulti  solitamente a provvedere a momenti di gioco nella routine quotidiana e favorire diverse modalità di gioco.

Perché osservare il bambino mentre gioca

Durante il gioco, l’adulto può guardare, ascoltare e rispondere al bambino.

Quando il bambino gioca e l’adulto osserva, l’osservazione attenta aiuta e facilita il gioco del bambino.

È la presenza dell’adulto e la sua disponibilità a prestare attenzione a ciò che sta succedendo, che aiuta a dare valore al gioco del bambino. Essere presenti per i bambini è ciò che permette a loro di diventare adulti curiosi. Giocare insieme è un modo molto efficace per migliorare la comunicazione e la capacità di stare in relazione con gli altri.

E’ importante che siano dedicati uno spazio tranquillo e del tempo perché il bambino possa giocare insieme ad un adulto o ad entrambi i genitori.

Questo dà la possibilità di osservare l’esperienza del bambino da un punto di vista più vicino. E guardare in modo curioso fa scoprire altri aspetti da conoscere.

Così anche l’adulto impara a giocare con il bambino mettendosi all’ascolto e garantendo una certa vicinanza emotiva, in modo da poter scoprire, piano piano, la sua personale narrazione.

Bibliografia:

Maiello Suzanne, Gioco e linguaggio, Roma, Astrolabio (2012)

Winnicott Donald W., Gioco e realtà, Roma, Armando Editore (1974)

Foto di Elly Fairytale da Pexels

 

Irene Chiesa

Irene Chiesa

Psicologa dell'Età Evolutiva

Formata secondo il modello Tavistock dell’ Infant Observation, lavora nell’ambito della formazione e consulenza per servizi educativi e in servizi a supporto dei legami familiari, in particolare nell'ambito dell'adozione e della prima infanzia. A Londra ha lavorato in un centro educativo e ha collaborato come Assistant Therapist in un progetto della Tavistock Clinic nelle scuole primarie. Attualmente si occupa anche di interventi a sostegno di bambini con difficoltà emotive, cognitive e comportamentali.

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