SCUOLA
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La didattica a distanza pone i docenti davanti alla sfida di una nuova valutazione. Quali criteri adottare e cosa valutare davvero?
Una riflessione di Pietro Viscardi, docente sul campo.
“Alé!” in arrampicata è il grido di chi ai piedi della parete vede il compagno scalatore afferrare con successo la presa successiva. “Alé! Alé!” è invece l’incitamento di quando alla presa successiva non si riesce ancora ad arrivare.
Durante una scalata, piccola o grande che sia, difficilmente sentirete un motto di delusione da parte di chi sta a terra. All’errore segue un suggerimento, alla caduta il silenzio. E l’attesa del prossimo tentativo. Alé! Di nuovo. Così è l’arrampicata, così la scuola.
In arrampicata si urla “Alé!”, a scuola si scrivono voti, ma in entrambi i casi lo scopo delle grida o dei numeri è uno: far sentire a chi ci prova che non è solo. I conti si faranno poi alla fine. Come quando scesi dalla roccia la si guarda insieme e si giudica la salita, così alla riconsegna del compito occorre che docente e alunno si prendano del tempo per capire come è andata.
Lo sprone allo scalatore e il voto dato dal docente all’alunno racchiudono in sé una molteplicità di significati che hanno bisogno di essere esplicitati.
Questa esplicitazione si è resa ancor più necessaria con la DAD (Didattica a Distanza), come anche la nota ministeriale timidamente accenna.
Se oggi la lontananza e i tempi ridotti di lezione chiedono chiarezza alla proposta scolastica, a maggior ragione la chiedono alla valutazione.
Il voto negativo dato dalla brama di tornare al più presto a girare tra i banchi durante le verifiche (per valutare in fondo sempre e solo le conoscenze e mai le competenze) è fallimentare tanto quanto il “sei politico”.
Oggi più che mai occorre che la valutazione, positiva o negativa che sia, venga preceduta e seguita da una narrazione, da un’esplicitazione prima della prova e una chiarificazione dopo la prova dei criteri di verifica e di giudizio.
Senza criteri chiari la valutazione non sarà mai compresa e calerà sempre dall’alto della cattedra. Per questo occorre che valutare non sia un diritto esclusivo del docente (tutti infatti valutano, sempre, voi stessi leggendo mi state valutando) ma sia un esercizio chiesto anche all’alunno.
Come? Per esempio attraverso l’autovalutazione.“La narrazione argomentata delle proprie vicende apprenditive” aiuta a giudicare il lavoro svolto cioè a prenderne coscienza e quindi a farne tesoro.
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Una volta chiariti i criteri occorre però che essi abbiano anche la capacità di adattarsi al singolo alunno perché in ognuno la conoscenza avviene in modo diverso. Il teologo John Henry Newman descrive la dinamicità dell’apprendimento così:
La mente si estende in lungo e in largo, si espande e avanza con una velocità che è diventata proverbiale e con una sottigliezza e versatilità che sfidano ogni indagine. Passa da un punto altro, appoggiandosi qui a un’indicazione e là a una probabilità; ora servendosi di un’associazione, ora fondandosi su qualche legge acquisita
Al docente spetta far crescere (ecco lo scopo della prova) e rendere evidente (ecco lo scopo della valutazione) il processo di conoscenza e non solo la conoscenza intesa nella sua accezione più bassa perché, come dice Albert Einstein, «imparare è un’esperienza, tutto il resto è solo informazione».
Sempre Newman afferma che «il ragionamento o l’esercizio della ragione è una spontanea energia vivente dentro di noi». Liberare questa energia è il compito della scuola.
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Oggi i docenti, liberati essi stessi dal graticolato dei banchi delle aule e dal ricatto del nozionismo, possono cogliere questa occasione e inoltrarsi coi propri alunni nel processo di conoscenza battendo coraggiosamente i nuovi sentieri della DAD.
Solo se avremo buoni occhi potremo scorgere il passaggio mite o fulmineo della conoscenza e, aggrappandosi a quell’attimo, seguirne la traccia. Valutare, lo dice la parola stessa, significa dare valore, valorizzare perché anche «un minuto frammento è l’indizio per una grande scoperta».
In fondo, per tornare alla montagna, davanti a una parete tutto lo sforzo di chi sale e di chi sta giù è individuare il prossimo appiglio, non certo godere della piattezza lapidaria della roccia. Solo così la ragione progredirà «non diversamente da uno scalatore su una ripida parete, che, con occhio veloce, mano pronta e piede fermo, sale senza sapere neanche lui come».
Citazioni:
Newman John Henry, Il cuore del mondo. Antologia degli scritti, Milano, BUR
Foto di Julia M Cameron da Pexels