PSICHE
PRENOTA UNA VISITA: Tel: 02.36692464
Se nel mondo anglosassone il rapporto tra studenti universitari e uso di sostanze viene sviluppato e analizzato, in Italia il disagio psichico e il burnout tra i più giovani non sono abbastanza monitorati.
Cosa possiamo fare allora per aiutare i ragazzi? Ce ne parla Lucia Ivona, trainer, counselor e coach da anni impegnata in attività a sostegno di studenti universitari.
Il centro clinico di Psicoterapia Psicoanalitica dell’adulto di Milano ha condotto negli ultimi anni alcune importanti ricerche nel campo dell’abuso di sostanze da parte dei giovani e giovani adulti milanesi. Le ricerche hanno evidenziato un aumento significativo dell’uso di sostanze come alcol e cannabis soprattutto tra i più giovani.
I dati epidemiologici dell’Agenzia Tutela Salute (ATS) di Milano confermano questo quadro. Tale problematica investe anche gli studenti che frequentano le nostre università, i quali, spesso affaticati da stress e da sindrome di burnout non diagnosticata, si ritrovano ad abusare di sostanze con lo scopo di alleviare la sensazione di fatica e di aumentare le prestazioni di studio e i tempi di concentrazione.
Le “droghe intelligenti”, così sono chiamate le sostanze che agendo sul sistema nervoso, aumentano le capacità di sopportazione dello stress, di concentrazione e di memorizzazione: sostanze tuttavia pericolose per il benessere psicofisico e che creano dipendenze patologiche.
Ma andiamo con ordine e partiamo da qualche dato.
Negli Stati Uniti, il rapporto 2017 del Center for Collegiate Mental Health of University Park, in Pennsylvania, ha individuato i sintomi della depressione nel 20% degli universitari americani oggetto del campione.
Nel Regno Unito un sondaggio di qualche mese precedente, promosso dalla National Union of Students, ha evidenziato che il 78% degli studenti intervistati stava soffrendo di disturbi mentali durante la propria esperienza universitaria. La quasi la totalità di questi ultimi dichiarò di sentirsi senza forza o in preda all’ansia. Risultarono alte anche le percentuali di disturbi più gravi, quali depressione, insonnia, irritabilità e sbalzi di umore, fino ad arrivare agli attacchi di panico e all’insorgenza di comportamenti anaffettivi.
Un’altra importante ricerca condotta dall’azienda di tecnologie finanziarie IeDigital ha rilevato che lo stress causato dall’esperienza universitaria influenza negativamente le relazioni interpersonali e, paradossalmente, il buon esito degli esami nel 32% del campione intervistato.
Gli Usa sono uno dei pochi paesi che ha sviluppato e condotto ricerche puntuali sul rapporto tra studenti universitari e uso di sostanze e rappresentano dunque un primo quadro di riferimento significativo per provare ad impostare progetti di ricerca simili nel nostro paese
A generare malessere non è solo l’ambiente troppo stressante – o più stressante che in passato. Purtroppo, infatti, i nostri giovani sono meno strutturati, meno pronti a far fronte agli stimoli certo stressogeni, ma costitutivi e intrinseci del percorso universitario.
Esami, lezioni, gestione burocratica degli eventi, numero elevato di ore di studio e di concentrazione, accettazione del giudizio e/o del rifiuto sono infatti parte del sistema universitario.
Entrambe le cose incidono in proporzione variabile.
In Italia, su otto milioni di ragazzi tra i 12 e i 25 anni, quasi tre milioni affermano di non essere soddisfatti della propria vita e di non sentirsi “a posto” a livello psichico, stando al Rapporto Giovani 2019.
Il disagio dei più giovani è un fenomeno molto preoccupante per la società intera e influenza negativamente anche le politiche che si sforzano di creare maggiori opportunità di formazione e di lavoro per le fasce giovanili. Tali politiche infatti si scontrano con problematiche strutturali, che non sono legate al contesto esterno del giovane, che pure vorrebbero supportare con le loro proposte, ma al contesto interno dello stesso: questo non è modificabile con i sistemi delle politiche attive o passive, ma solo con un buon ascolto e un buon supporto psicoterapico nei casi di maggiore complessità, che, stando alla mia esperienza, rappresentano di gran lunga il numero maggiore.
I motivi di questa sofferenza possono essere diversi. Tra questi, c’è sicuramente la pressione degli studi e l’alta competitività di alcuni ambienti scolastici e universitari.
Ma è davvero tutto qui?
Io non credo; penso invece che dobbiamo purtroppo annoverare, alcuni altri significativi fenomeni che investono i giovani adulti, quali l’impoverimento mentale ed emotivo di chi vive in una epoca di “passioni tristi”, per dirla con Miguel Benasayag e Gérard Schmit. Secondo loro spesso i nostri giovani hanno slegato il raggiungimento dei propri obiettivi dall’impegno e dalla costanza, dalla resistenza alla fatica, dal lavoro responsabile e programmato, dall’entusiasmo e dall’appagamento del fare bene il proprio lavoro, dalla accettazione del proprio limite e dei propri doveri.
Quale prezzo i giovani stanno pagando a causa di questo impoverimento?
Leggi anche Burnout universitario: cos’è e come si riconosce
Il pericoloso mix tra desiderio di alte prestazioni e incapacità di ottenerle – o meglio, in molti casi, di lavorare con cura per ottenerle – genera gravi effetti collaterali secondari come l’abuso delle “smart drugs”, le cosiddette droghe dello studio che tengono alta l’attenzione e migliorano le performance.
Modafinil, Adderall, Ritalin, Dexedrine sono nomi sempre più conosciuti fra gli studenti. Stando al Global Drug Survey del 2018 il consumo di smart drugs in Europa è passato dal 5% del 2015 al 14% del 2017; un bel salto, no?
Secondo il Journal of American College Health, queste droghe provocano una facile dipendenza, influiscono sull’umore e sulla salute mentale inducendo stati di nervosismo e sovraeccitazione, facilitano l’insonnia e l’insorgere di problemi cardiovascolari.
In Italia, diversamente che negli Stati Uniti, i problemi della depressione, del disagio psichico e del burnout fra gli studenti non sono abbastanza monitorati, o almeno non vi sono ancora un numero sufficiente di studi che mettano in relazione lo stress dell’ambiente universitario con il sopraggiungere di disturbi più gravi. Allo stesso modo non si fa attenzione all’abuso di smart drugs, che si possono facilmente reperire online.
Che il problema esista e sia diffuso, lo testimonia tuttavia il fatto stesso che negli ultimi due anni sono aumentate in tutta Italia le strutture universitarie che mettono a disposizione degli studenti un servizio di ascolto gratuito. Ma questo flebile segnale, non può certamente garantire una risposta di alto valore clinico a un problema così grave che ci interroga con forza.
La relazione di aiuto infatti necessita di tempo per essere costruita perché sia capace di realizzare quella piattaforma di fiducia indispensabile per un buon ascolto e una buona apertura della persona in difficoltà. Il tempo della cura inoltre è un tempo diverso per ogni singolo essere umano e necessita di uno spazio costruito in modo adeguato.
È importante non solo ascoltare il giovane, ma anche riuscire ad orientarlo a nuove scelte, a cambi di facoltà, di strutture universitarie o di percorsi di studio, se necessario. E forse questo aspetto potrebbe non essere così semplice per il personale di un ateneo dove il numero degli iscritti e dei successi formativi contribuisce a un miglioramento dei riconoscimenti e dei fondi legati agli standard internazionali.
Dobbiamo intanto accettare una premessa e un limite di partenza: lo studente universitario è un soggetto adulto, ha già superato gli anni della formazione ed è dunque fuori dai processi di “sorveglianza educativa”.
Il lavoro che pertanto va fatto, con lo studente e a suo vantaggio, è un lavoro di riposizionamento di sé stesso all’interno di un contesto ben preciso. Un lavoro di counseling o di supporto psicologico che lo aiuti a guadagnare una vera consapevolezza di sé, del proprio limite, della propria forza e del proprio desiderio, che è il motore del benessere, se diventa il protagonista di un buon ascolto e di una buona mediazione con quello che è il regno delle cose possibili, con le quali ciascun essere umano, a qualunque età, deve fare i conti.
Fonti:
Center for Collegiate Mental Health (Ccmh): 2017 Annual Report. University Park (PA), Penn State University 2018, consultato il 14 maggio 2020 (https://sites.psu.edu/ccmh/files/2018/01/2017_CCMH_Report-1r3iri4.pdf)
National Union of Students (Nus), 2015, Mental Health Poll Nov 15, consultato l’ultima volta il 14 maggio 2020 (http://appg-students.org.uk/wp-content/uploads/2016/03/Mental-Health-Poll-November-15-Summary.pdf)
Students struggle under debt stress while at university, in “IeDigital”; consultato il 14 maggio 2020 (https://www.iedigital.com/news/students-struggling-debt-stress-university/)
La condizione giovanile in Italia. Rapporto Giovani 2019, Bologna, Il Mulino (2019)
Maier Larissa J., Ferris Jason A., Winstock Adam R., (2018), Pharmacological cognitive enhancement among non-ADHD individuals – A cross-sectional study in 15 countries, International Journal of Drug Policy, 58, pp. 104-112
Garnier-Dykstra Laura M., Calderia Kimberly M., Vincent Kathryn B., O’Grady Kevin E., Arría Amelia M., (2012), Nonmedical use of prescription stimulants during college: Four-year trends in exposure opportunity, use, motives, and sources, Journal of American College Health, 60, (3), pp. 226-234
Benasayag Miguel, Schmit Gerard, L’epoca delle passioni tristi, Milano, Feltrinelli (2004)
Approfondimenti:
Bauman Zygmunt. L’arte della vita, Bari, Laterza (2009)
Galimberti Umberto, L’ospite inquietante, Milano, Feltrinelli (2007)
Goleman Daniel, Focus, Milano, BUR (2014)
Carr Nicholas, Internet ci rende stupidi?, Milano, Raffaello Cortina (2011)
Wallace Patricia, La psicologia di Internet, Milano, Raffaello (Cortina 2017)
Foto di Andrea Piacquadio da Pexels