SCUOLA
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Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido.
Albert Einstein
A scuola trasformare un disagio, una fatica, come la balbuzie o i disturbi specifici dell’apprendimento (DSA), in un’opportunità educativa per tutta la classe, è un’occasione da cogliere. La mancanza di ascolto e conoscenza della diversità e l’esclusione di chi non è performante creano disagio in qualunque studente. Il disagio spesso genera una bassa autostima, aumenta il senso di inadeguatezza e, dunque, penalizza il rendimento scolastico. La balbuzie, che colpisce l’1% della popolazione, con picchi del 5% tra i più piccoli, crea in un bambino, che diventa un adolescente e poi un adulto, isolamento e silenzio. Un silenzio che genera un flusso di parole interiore. Il silenzio, che può diventare una voragine di paura paralizzante durante le interrogazioni per finire con un: “Stai calmo, respira e studia di più”. Ed ecco che questa tipica frase del docente genera ancora più tensione a livello fisico e muscolare e aggrava la manifestazione della balbuzie.
A questo punto, qual è la reazione più comune dello studente che balbetta o con DSA non ancora certificato? Sottrarsi da quello che lo circonda e spesso rinchiudersi nel suo mondo.
I docenti non sono preparati sull’argomento e il problema della balbuzie non è trascurabile perché gli studenti balbuzienti frequentano la scuola e non devono decidere di abbandonarla per la difficile strada che li aspetta – spiega Maria Luisa Colla, professoressa di Tecnologia della Comunicazione e Tecnologie informatiche con funzione strumentale BES/DSA dell’Istituto Albe Steiner di Milano. L’insegnante non deve limitarsi solo a trasmettere dei contenuti disciplinari, ma deve essere in grado di riconoscere i motivi e le cause degli insuccessi dei suoi studenti, e per fare questo deve essere adeguatamente formato.
Certo, la sensibilizzazione è il primo anello di una catena utilizzata per la totale inclusione dello studente. La classe dovrebbe sempre accogliere le fatiche del compagno di banco perché è dentro a questo contesto che si comincia a fare pratica di vita. La scuola, per sua natura, ha una missione educativa.
L’Albe Steiner di Milano è adeguatamente formata per affrontare i disagi scolastici, come i DSA. Non è altrettanto formata sul disagio della balbuzie.
Una risposta che porta velocemente a fare una piccola inchiesta da Milano a Palermo, ed ecco il risultato.
Diego Mortalò, maestro Scuola Primaria del Collegio San Carlo di Milano, realtà privata impegnata nel percorso culturale e umano rispettoso dell’unicità di ogni persona. «Assolutamente la scuola non è preparata per la balbuzie, ma posso affermare che non lo è nemmeno per i DSA. Non ci sono corsi di formazione obbligatori ma scelte personali dei docenti. Noi al San Carlo siamo fortunati perché il Collegio ci permette di partecipare liberamente ai corsi di formazione che il docente, più esigente e attento, cerca su territorio nazionale. Diciamola tutta: in Italia non si lavora sulle emozioni. A parer mio, è per questo che non si è preparati, ad esempio, sulla balbuzie».
A Roma, abbiamo fatto la stessa domanda a Liliana Perruso, professoressa di italiano all’Istituto Comprensivo di Bracciano. «Sono preparata sui DSA ma la balbuzie non è una tematica di formazione per noi docenti. Secondo la mia esperienza, il numero di alunni con questo disturbo è veramente minimo. In 18 anni di insegnamento non mi è mai capitato e nel caso avrei richiesto di lavorare accanto a figure professionali specializzate nel disturbo della balbuzie. Questo disturbo specifico può avere comorbidità come i DSA: dislessia, disortografia, disgrafia, discalculia. A volte».
A Salerno chiediamo alla professoressa Mariarita Luongo, Scuola Secondaria di Primo e Secondo grado. «Quest’anno in una delle mie classi c’è uno studente balbuziente. Non ho una formazione adeguata a questo e mi sto avvalendo della collaborazione di esperti esterni. Il mio metodo con lui durante le interrogazioni è non mettergli ansia e fare in modo di non sottolineare il suo disagio. Anche la classe è inclusiva e di forte collaborazione».
A Palermo Francesca Maccani, professoressa di Italiano, Scuola Secondaria di Primo grado, afferma senza esitazione: «No, nella maniera più assoluta! Ad esempio io ho una alunna balbuziente ma è aiutata da strutture esterne. Io non ho strumenti adeguati pur avendo fatto le 400 ore per il sostegno, come mia esigenza personale e per la mia formazione di docente ma non ho il tipo di preparazione adeguata per questo disagio. La mia alunna è una ragazzina ben strutturata, molto seguita dalla famiglia e a scuola è serena perché non viene schernita dai suoi compagni. Spesso, durante la lezione, è lei ad offrirsi di leggere ad alta voce ed io cerco sempre di dilatare questi tempi, senza metterle ansia o semplicemente assegnandole brani non troppo lunghi» .
Testimonianze preziose, perché svelano l’effettiva mancanza tra i docenti di una formazione adeguata sulla balbuzie, da cui deriva a volte, anche una non conoscenza del fenomeno nella sua complessità. Una breve inchiesta, sì, ma che fa riflettere…
Foto: Flickr, mbeo