Approcci e teorie sulle cause della balbuzie

Le teorie che tentano di spiegare le cause della balbuzie si distinguono in due diversi approcci: quello psicologico e quello biologico.

La vera natura della balbuzie è infatti sempre stata oggetto di discussione. Nel corso degli anni si sono avvicendate diverse ipotesi sulle sue cause. Ma ciascuna di esse si è focalizzata su un aspetto particolare.

Le teorie psicologiche spiegano la balbuzie in termini di problemi psicologici, di natura emotiva o addirittura patologica.

Cause della balbuzie: la prospettiva psicologica

Psychoemotional theories

Queste teorie sostengono che la balbuzie possa essere causata da traumi psicologici, disturbi emotivi o particolari tratti della personalità.

Sebbene siano estremamente conosciute, hanno ricevuto uno scarso supporto scientifico e alimentano gli stereotipi sulla balbuzie. Un esempio èl’idea che essa sia dovuta all’ansia o ad eventi traumatici verificatisi durante l’infanzia.

Al contrario, è plausibile che problemi psicologico-emotivi (ad esempio, alti livelli di ansia) si manifestino come conseguenza della balbuzie, per poi contribuire al suo rafforzamento e mantenimento.

The anticipatory-struggle hypothesis

L’idea alla base di questa teoria è che la causa principale della balbuzie sia la convinzione del balbuziente stesso circa la difficoltà del linguaggio.

In parole povere, una difficoltà nel parlare durante l’infanzia può causare nel bambino un senso di frustrazione, per il fatto di avere difficoltà a comunicare in modo efficace con gli altri, e instillare la convinzione che “parlare è difficile”. Di conseguenza, il bambino anticipa il blocco quando sta per parlare e si sforza e va in tensione nella convinzione che quello sia l’unico modo per pronunciare la parola. In sostanza, si può dire che se un balbuziente dimenticasse improvvisamente di essere tale, smetterebbe di balbettare.

Questa teoria, seppur suggestiva, presenta alcuni limiti. Per esempio, non spiega perché in alcune situazioni la fluenza migliora notevolmente (ad esempio, durante il canto o parlando sui battiti di un metronomo). Oppure perché il blocco avviene anche quando le persone non provano ansia o tensione. Inoltre, il modello non spiega chiaramente come può avvenire il passaggio dalla convinzione che “parlare è difficile” al blocco vero e proprio, né perchè i bambini con difficoltà linguistiche debbano sviluppare la balbuzie piuttosto che altre difficoltà linguistiche.

The demands-capacities model

Si tratta di un modello che mette in relazione le risposte comportamentali alle richieste degli stimoli ambientali.

Questo modello sostiene che la balbuzie è il risultato dell’interazione tra fattori interni e fattori ambientali. Essa emerge quindi nei bambini quando le richieste dell’ambiente, specificamente all’interno di situazioni comunicative, sono maggiori delle capacità linguistiche che il bambino ha sviluppato fino a quel momento.

A sostegno di questo modello, si può osservare che quasi tutte le persone possono sperimentare dei piccoli blocchi in situazioni comunicative molto impegnative, come parlare in pubblico.

Anche questa teoria però presenta alcuni limiti. Fra tutti, non spiega perché alcuni bambini balbettano anche in situazioni comunicative poco o per niente stressanti. Viceversa, ad alcuni balbuzienti capita a volte di non balbettare proprio in situazioni particolarmente impegnative.

The covert-repair hypothesis

Secondo questa ipotesi, la balbuzie è il risultato di un eccessivo auto-monitoraggio del discorso interno.

In sostanza, la balbuzie si verifica quando la persona rileva degli errori durante la codifica fonologica del discorso (ossia, una rappresentazione mentale di tutti i suoni che devono essere prodotti), e cerca di correggerli prima che le parole vengano effettivamente pronunciate.

Secondo questa ipotesi, la balbuzie potrebbe quindi essere dovuta a un deficit della codifica fonologica.

Alternativamente, è possibile che i balbuzienti tendano a parlare più velocemente delle altre persone, non riuscendo a correggere questi errori in tempo.

Questa ipotesi sembra coerente con l’osservazione che, durante i blocchi, le parole sembrano quasi essere “trattenute” e che i blocchi si verificano proprio nel passaggio da un suono all’altro all’interno delle parole. Tuttavia, ci sono alcune evidenze sperimentali che contraddicono questa ipotesi. Per esempio, è stato osservato che le persone che balbettano non commettono più errori durante la produzione linguistica rispetto alle altre persone, e che parole fonologicamente più complesse non causano più blocchi delle altre.

I limiti delle teorie psicologiche sulla balbuzie

Le teorie che affrontano la balbuzie da un punto di vista psicologico ritengono che essa possa essere causata da

  • problemi psicologici-emotivi
  • comportamenti acquisiti in determinate situazioni ambientali
  • difficoltà nella pianificazione del linguaggio.

Dal punto di vista clinico, queste teorie incoraggiano l’uso di trattamenti mirati a ridurre l’ansia e il potere di alcuni stimoli ambientali nello scatenare la balbuzie. È plausibile che ciascuno dei fattori presi in esame sia implicato nella balbuzie, anche se, naturalmente, nessuno di essi può esserne considerato la causa principale.

Ad esempio, balbuzie e ansia sono sicuramente legate tra loro, ma probabilmente è la prima a causare la seconda, e non il contrario.

Allo stesso modo, le condizioni ambientali influenzano sicuramente la balbuzie, ma questo non implica che la balbuzie sia soltanto un comportamento acquisito in particolari condizioni ambientali, alla stregua di un qualsiasi comportamento appreso tramite condizionamento, ma più complesso.

Il ruolo e l’influenza di tutti questi fattori dimostrano sicuramente la natura complessa e multidimensionale della balbuzie, ma non sono sufficienti a spiegarne la causa: è necessario un ulteriore step.

Sappiamo che il linguaggio, così come ogni altra funzione cognitiva, è governato dal nostro cervello. Sappiamo che quando la struttura o la funzione del cervello vengono alterate, anche lievemente, possono comparire dei disturbi o delle alterazioni del comportamento. Sappiamo che i moderni strumenti di ricerca ci permettono di studiare in modo efficace la struttura e la funzione del cervello.

Il prossimo step ci porta dunque alla biologia: c’è qualcosa nel cervello che può spiegare la balbuzie?

 

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Foto: Dih Andréa da Pexels

Gianpaolo Del Mauro

Gianpaolo Del Mauro

Laureato in Scienze Psicologiche Cognitive e Psicobiologiche

Laureato in Scienze Psicologiche Cognitive e Psicobiologiche all’Università degli studi di Padova e in Neuroscienze Cognitive presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, dove svolge attualmente un dottorato di ricerca in Neuroscienze Cognitive occupandosi di linguaggio.

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