PSICHE
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Le vittime di un trauma oscillano fra la negazione dell’evento, e la sua ripetizione compulsiva, attraverso flashback o incubi. In questo modo, la mente cerca di elaborare e organizzare stimoli traumatici ed eccessivamente opprimenti. Queste strategie rischiano però di congelarsi e cronicizzarsi in un disturbo specifico: il Disturbo Post Traumatico da Stress.
L’evento traumatico rappresenta un’onda che si infrange sull’esperienza quotidiana della persona. Ma cosa succede dopo che l’onda si è infranta?
Alcuni dei suoi effetti possono manifestarsi per molto tempo, arrivando a concretizzarsi in una sindrome chiamata Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS in italiano, PTSD – Post Traumatic Stress Disorder in inglese).
Se il Trauma è l’onda, il Disturbo Post Traumatico da Stress è uno degli strascichi che l’onda può lasciarsi dietro.
Attualmente il Disturbo Post Traumatico da Stress è incluso nel DSM 5, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, nella categoria Disturbi correlati agli eventi traumatici e stressanti. Il manuale individua una serie di criteri di riconoscimento validi per adulti, adolescenti e bambini al di sopra dei sei anni.
Il primo criterio definisce
l’insorgenza in seguito ad esposizione a morte (reale o minacciata), violenza sessuale o grave lesione.
Le tipologie di eventi in grado di scatenare PTSD possono essere dunque varie, ad esempio disastri della natura, incidenti, violenza umana.
Denominatore comune è il fatto che la vittima sia stata esposta all’esperienza di un evento traumatico di grave minaccia alla vita, o all’integrità fisica, per sé o per altri.
Anche essere testimoni di un evento traumatico può produrre PTSD, perché essi condividono la stessa dialettica del Trauma.
Nello specifico, infatti, essere testimoni di un’esperienza gravemente traumatica o può provocare la stessa impossibilità di elaborare i fatti, la stessa impotenza, e la stessa destabilizzazione, che provoca l’esserne vittime.
Pensiamo ad esempio ai soccorritori che accorrono dopo un grave incidente e vengono a contatto con i dettagli più crudi relativi all’evento.
I sintomi compaiono in seguito all’evento traumatico, restano presenti nel tempo per un periodo superiore a un mese, e rientrano in quattro categorie specifiche.
Viene specificato anche un dato sul decorso temporale dei sintomi, che devono manifestarsi per un periodo superiore a un mese.
Non tutti gli individui esposti a grave trauma sviluppano PTSD.
Le capacità di risposta individuali dipendono da fattori differenti: l’intensità del trauma sperimentato e la sua pervasività nella storia di vita dell’individuo hanno un ruolo determinante. È importante però anche la presenza o meno di altri fattori stressanti nella vita della persona, così come la stabilità della rete supporto sociale di cui dispone.
L’American Psychiatric Association (APA) riconosce per la prima volta la categoria del PTSD nel 1980, sulla scia degli studi sui veterani del Vietnam e dell’impatto dei movimenti di denuncia alla violenza contro le donne.
È un riconoscimento importante: essere sottoposti ad un trauma può produrre effetti tali da richiedere una diagnosi, ed una cura, specifiche. Da allora gli studi sul trauma hanno fatto molta strada.
Nell’affrontare il PTSD di grande importanza è la tempistica dell’intervento.
Esistono delle tecniche che hanno scopo preventivo e che devono essere messe in atto il prima possibile, nei momenti immediatamente successivi all’evento traumatico.
Le terapie invece proposte una volta che il disturbo è conclamato sono la psicoterapia psicodinamica e le terapie cognitivo comportamentali.
La psicoterapia psicodinamica lavora soprattutto sulla possibilità di ri-narrare il trauma, affrontandone le varie sfaccettature e mettendolo in parole, per arrivare ad elaborarlo.
Le terapie cognitivo comportamentali lavorano invece attraverso tecniche di esposizione graduale allo stimolo traumatico, e di ridefinizione dei pensieri e dei comportamenti connessi al trauma. Fra queste, una tecnica di elaborazione del trauma che sta avendo grandi riscontri di recente, è l’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing).
La terapia EMDR affronta i ricordi non elaborati, originati da un trauma o da un evento fortemente stressante, attraverso la desensibilizzazione e ri-processamento del movimento oculare.
Il programma si compone di un protocollo di rievocazione delle esperienze negative del paziente. Mentre si propongono le varie fasi del programma, si conduce il paziente ad una rielaborazione profonda del ricordo attraverso movimenti oculari ritmici.
Bibliografia
Pettirossi, Psichiatria, 2008, Centro Scientifico Editore, Torino.
Gabbard, Psichiatria Psicodinamica, 2007, Raffaello Cortina Editore, Milano.
Angelini, www.angelini.it
State of Mind, www.stateofmind.it